un progetto di

Alta Langa Dossier

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01Nuovi accostamenti

02Il tartufo

03Salvaguardia del territorio

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Alta Langa e Tartufo bianco d’Alba

Ricerca Tartufo

Alta Langa e Tartufo bianco d’Alba

Da un saggio diAntonio Degiacomi

Nuovi accostamenti nuove sperimentazioni del gusto

Dapprima venne l’abbinamento dello spumante Alta Langa con i piatti elaborati da grandi chef, per gustare il tartufo nell’ambito della Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba, all’Alba
Truffle Show.

Il pubblico di gourmet e di giornalisti, prevalentemente stranieri, che frequenta i cooking show di Alba ha decretato il successo della ricerca da parte dei cuochi nazionali, internazionali, del territorio e ha manifestato la convinta adesione all’accostamento con il nostro spumante. Si è contribuito così ad affermare l’Alta Langa come vino gastronomico e non solo chiamato a festeggiare ricorrenze.

Venne poi l’idea di celebrare il “Capodanno” del Tartufo: un’allegra veglia con l’Alta Langa, un appuntamento fortemente simbolico che precede l’apertura della stagione.

Allo scoccare della mezzanotte del 1 ottobre, data legale in Piemonte di inizio della cerca del Tartufo Bianco d’Alba, partono trifolao e cani per i boschi nella notte avviando una stagione che terminerà il 31 gennaio. Il calendario della cerca è preceduto da un periodo di “fermo biologico” – dal 1 al 30 settembre – durante il quale la raccolta è vietata. Il tempo è ancora molto caldo, gli insetti molto attivi, si vuole garantire in questo modo il più possibile la raccolta di tartufi sani e buoni e soprattutto si intende favorire la propagazione delle spore.

E qui salta agli occhi una caratteristica comune tra il tartufo e l’Alta Langa: la pazienza necessaria, il tempo dell’attesa. Attesa della crescita degli alberi; attesa dell’entrata in produzione della vigna; attesa della crescita sotto terra e della maturazione, che il cane saprà riconoscere con il suo fiuto, cane che ha richiesto tempo e pazienza per l’addestramento; attesa del succedersi delle stagioni e dei diversi lavori nella vigna; attesa dei lunghi mesi di affinamento in bottiglia nel fresco delle cantine.

capodanno del tartufo

Il tartufo, alfiere del Piemonte

In una ricerca a campione in internet curata dal Centro Studi nel 2016 sono stati rilevati 150 ristoranti dell’alta cucina internazionale, in particolare negli USA e in Asia, nel cui menù
era presente il Tartufo Bianco d’Alba.

I turisti stranieri che percorrono i paesaggi viticoli di Langhe, Roero e Monferrato, che ne frequentano le cantine e i ristoranti sono incuriositi e attratti dalla fama del tartufo.

Un ulteriore fascino proviene dal comprendere, attraverso le spiegazioni e le cerche dimostrative, che non è un prodotto coltivato, ma che nasce in simbiosi con alcuni alberi e che è l’intesa tra cane e trifolao a permetterne il ritrovamento percorrendo chilometri in terreni e boschi.

Il Novecento ha conosciuto una grande promozione del tartufo attraverso le Fiere, a partire da quella di Alba, seguita da Moncalvo in provincia di Asti, Murisengo in provincia di Alessandria e un’altra ventina in paesi e città di Langhe, Roero e Monferrato.

Giacomo Morra intuì per primo il valore della comunicazione attraverso il dono di grandi esemplari di tartufo a Capi di Stato e personaggi del cinema, seguito da commercianti come Roberto Ponzio e dalle Fiere stesse, avviando l’esportazione verso raffinati gourmet e famosi chef.

Confraternite enogastronomiche, ristoratori, produttori di vino hanno promosso la bellezza delle colline piemontesi, la qualità dei vini e della cucina e hanno sempre inserito tra i doni all’estero o ai visitatori il tartufo.
Ma il prestigio del tartufo risale indietro nei secoli, quando le comunità locali ne facevano omaggio agli alti funzionari reali in visita e i nobili contendevano ai contadini il diritto a raccoglierli sulle loro terre.

I Savoia ne avevano fatto oggetto di dono e strumento di distinzione e prestigio attraverso la corrispondenza e i contatti diplomatici con le corti di Vienna, Londra, Parigi e Berlino.

La temporanea annessione del Piemonte alla Francia napoleonica ampliò la fama dei tartufi a Parigi.

L’Ottocento segna il graduale allargarsi della presenza dei tartufi dalle mense dei nobili alle tavole dei borghesi, dalle cucine di corte ai ristoranti.

giacomo morra

I raccoglitori “uomini selvatici”

Il trifolao era per lo più un coltivatore di famiglia contadina. Cessata la stagione della vendemmia e della semina del grano, si muoveva nel freddo della notte, solo con il suo cane in una sfida alle avversità del terreno, alle paure destate da credute presenze misteriose e in gara con altri uomini e altri cani.

Oggi i trifolao possono essere anche operai o impiegati, professionisti o artigiani, avere o no alle spalle generazioni radicate nelle campagne, ma anch’essi sono in qualche misura “uomini selvatici” quando seguono mappe memorizzate, costruite cogliendo segni e tracce o conoscenze tramandate, in solitudine e riservatezza, nelle ore del giorno e della notte più adatte a non esser visti e a precedere gli altri, guidano il cane sui luoghi noti da esplorare e sono guidati dal suo olfatto nell’individuazione del punto di scavo, in un dialogo di sguardi e di poche parole.

Perché per lunga consuetudine si va alla cerca di tartufi di notte, o almeno nella tarda serata e al mattino prestissimo?
Nei saggi di Baldassare Molino, Davide Bobba e Franca Garesio Pelissero (2017) Di tartufi e di masche si citano documenti che mostrano quanto il diritto a cercare tartufi in terreni altrui fosse contrastato.

Erano secoli nei quali nelle singole comunità erano in vigore i cosiddetti “Bandi campestri”, delle regolamentazioni concrete delle attività agricole e forestali stabilite dai consigli e dal signore feudale. In alcuni Comuni vi era il divieto, con relative ammende, di “escavare tartufole” per i forestieri, in altri casi per tutti di andare nelle vigne e negli alteni (viti sostenute da alberi o pali) nei mesi di settembre e ottobre, a tutela del raccolto dell’uva, in altri il divieto per tutti di andare su terreni altrui a “cacciar tartuffi” e non “otturare con ogni diligenza” le buche.

Molto significativo è  il documento del 1737 di Vezza d’Alba, in cui il feudatario Traiano Giuseppe Roero pretende di proibire “l’escavazione delle triffole”.

Due secoli dopo nella poesia Paesaggio II di Cesare Pavese (1936) Lavorare stanca, c’e ancora un’eco delle tensioni:

Qui nell’umidità, con la scusa di andare a tartufi, entran dentro alla vigna e saccheggiano le uve

Oggi i trifolao spiegano che i cani di notte sentono meglio il profumo dei tartufi. La ragione principale però è da sempre quella di mostrare il meno possibile agli altri trifolao i propri cammini di cerca, le proprie marche.
La pratica della cerca e cavatura del tartufo, se svolta correttamente, consente il mantenimento dell’equilibrio ecologico e della biodiversità vegetale e assicura la rigenerazione biologica stagionale delle specie tartufigene.

Oggi la ricerca e la raccolta dei tartufi è libera nei boschi e nei terreni non coltivati. È vietata nei terreni privati e nelle tartufaie segnalate ai sensi della normativa vigente. In Piemonte è consentita anche di notte.

trifulau e cane

Le regole di raccolta

  • La ricerca dei tartufi deve essere effettuata solo con il cane appositamente addestrato. Ogni raccoglitore, detto anche cercatore, non può utilizzare contemporaneamente più di due cani;
  • Lo scavo per l’estrazione del tartufo dal suolo deve essere effettuato con mezzi idonei (vanghetto o zappino) dotati di lama, solo dopo la segnalazione di rinvenimento da parte del cane e limitatamente al punto ove lo stesso lo ha iniziato;
  • Le buche create per l’estrazione del tartufo devono essere obbligatoriamente riempite con la terra asportata, ripianando accuratamente la superficie del suolo;
  • Nell’esercizio della ricerca, è vietata l’apertura di buche soprannumerarie;
  • È vietata la raccolta dei tartufi non segnalati e dei tartufi immaturi o avariati;
  • Devono essere in ogni caso rispettati gli obblighi derivanti da altre leggi e le buone norme di convivenza civile.

I trifolao conoscono i cicli biologici della simbiosi vegetale delle diverse piante tartufigene, in relazione agli habitat, le fasi lunari, l’andamento delle precipitazioni. Hanno un profondo rapporto con il cane che, attraverso un addestramento specifico, impara con il suo grande olfatto a distinguere l’odore particolare che ciascuna specie tartufigena emana quando raggiunge la maturazione.

Tra le molte descrizioni dell’habitat del tartufo bianco pregiato (Tuber magnatum Pico) riprendiamo quella contenuta nel libretto pubblicato dalla FNATI (Federazione Nazionale delle Associazioni Tartufai Italiana) e dall’Associazione Nazionale Citta del Tartufo Cerca e cavatura del Tartufo in Italia – conoscenze e pratiche tradizionali.

“Il tartufo bianco è una entità micologica molto esigente e poco adattabile, e in grado di svilupparsi solo in pedo ambienti molto circoscritti e specifici, preferibilmente freschi e abbastanza ombreggiati come i fondovalle, il margine dei fossi, l’interno dei boschi, lungo i corsi d’acqua o intorno le pozze che si creano nelle vallecole; pedo ambienti, dove il suolo risulta sempre umido, abbastanza sciolto e poco strutturato. La vegetazione di questi luoghi, sempre abbastanza lussureggiante, e fatta prevalentemente di piante ‘igrofile’ cioè che amano l’acqua; ed e con piante di codesto tipo che il tartufo bianco entra in simbiosi. Possono essere pioppi o salici, tigli o noccioli, ecc.; e non e un caso che, fra tutte le varie specie di querce, esso preferisca- indiscutibilmente- solo quelle di terreni profondi e freschi come farnia, rovere e cerro. Si cerca e si raccoglie nel periodo autunnale, anche se spesso la fruttificazione inizia gia in tarda estate”

Il ciclo di formazione del tartufo

  • fase 1: scambio di sostanze tra tartufo e pianta a livello radicale con la formazione delle micorrize
  • fase 2: le ife danno origine al corpo fruttifero
  • fase 3: diffusione delle sporse tramite mammiferi e insetti che si cibano dei funghi ipogei
  • fase 4: dispersione delle spore grazie al trasporto delle correnti d’aria
  • fase 5: scambio di sostanze tra spore e radici
  • fase 6: formazione delle micorrize (complesso formato dall’unione delle ife con la radice della pianta)

Buone pratiche di gestione per salvaguardare le tartufaie

Bisogna avere responsabilità verso il futuro, promuovere metodi di coltivazione rispettosi degli ecosistemi, sperimentare piccole filiere complementari, tener conto della bellezza e della salute per
le colture. Piantare alberi per combattere la crisi climatica, ridurre le emissioni di CO2, contrastare l’innalzamento della temperatura è un proposito eccellente, sostenuto tra gli altri dalle Comunità Laudato si’ che si richiamano all’Enciclica di papa Francesco (2015) Laudato si’.

Tra questi alberi vorremmo ci fossero molte piante simbionti con il tartufo. Ma non va dimenticato che ci sono boschi non gestiti: dove pascolavano le pecore, dove si tagliava periodicamente la legna, ci sono tronchi secchi, rampicanti e arbusti impenetrabili, frane. E gli alberi piantati devono ricevere cure colturali, essere realmente “adottati” (e tutelati dal carico eccessivo di ungulati: caprioli e cinghiali).

Per quanto riguarda i tartufi piemontesi, vale di più una pianta salvata dall’abbattimento, un albero piantato, la qualità garantita nelle fiere grazie ai giudici del tartufo e promossa nella ristorazione che mille discussioni e polemiche di campanile su dove nascano i migliori tartufi piemontesi, se tutti provengano dalla regione e quale debba essere la loro denominazione.
In Piemonte si cerca di agire in vari modi.

  • Si cerca di salvaguardare le piante tartufigene esistenti, incentivando i proprietari a non abbatterle attraverso il pagamento da parte della Regione Piemonte di una indennità annua ricavata dai fondi versati dai cercatori per ottenere il tesserino che li autorizza alla raccolta.
  • Alcuni Comuni cercano, attraverso ordinanze o delibere, di imporre l’obbligo ai proprietari di comunicare l’intenzione di abbattere alberi di specie simbionti con il tartufo. Lo scopo è di attivare una interlocuzione preventiva per indurre a richiedere piuttosto l’incentivo o a piantumare altre piante di specie simbionti per tutelare un patrimonio che ha un valore per l’intera comunità.
  • Alcuni Comuni piantano alberi di specie potenzialmente tartufigene in parchi cittadini o hanno progettato interventi di manutenzione o di nuove piantumazioni in terreni demaniali.
  • Singoli trifolao o le loro associazioni mettono a dimora e allevano nuove piante su terreni propri o affittati o ottenuti in comodato oppure intervengono in tartufaie esistenti in declino di produzione per rimuovere vegetazione secca, controllare infestanti, rimuovere in modo selettivo parte degli arbusti, mantenere o creare il reticolo delle acque superficiali.
  • Associazioni di varia natura si impegnano al fianco del Centro Studi Tartufo nella piantumazione di nuove piante tartufigene.
  • La Regione Piemonte nell’ambito del programma regionale di Sviluppo Rurale finanzia attraverso appositi bandi interventi per nuove tartufaie di tartufo bianco e nero con piante micorrizate e interventi a tutela della biodiversità (filari arborei, boschetti) che includono le piante tartufigene in aree vocate.

In Piemonte tante persone, associazioni, enti e istituzioni hanno fatto molto per 
la promozione del tartufo.

Nel mondo dei trifolao va maturando in questi anni una nuova consapevolezza: devono essere avviate azioni comuni per la conservazione di un patrimonio che riguarda tutti.

Sono sorte diverse Associazioni di trifolao che si propongono sia di sollecitare iniziative da parte dei Comuni e della Regione sia di agire direttamente promuovendo la piantumazione di nuovi alberi e le buone pratiche di mantenimento delle tartufaie. C’è anche qualche primo timido tentativo di dialogo con i proprietari. Il tartufo ha fatto molto per far conoscere il Piemonte, i suoi vini, i suoi prodotti, la sua cucina nel mondo. E tempo che il Piemonte tuteli e gestisca gli habitat naturali secondo le migliori pratiche, per poter continuare a ottenere i preziosi funghi ipogei mantenendo la biodiversità e incrementando il patrimonio di alberi simbionti.

Bisogna che la Regione con il supporto della Consulta regionale del tartufo abbia una progettualità pluriennale, favorisca interventi di gestione delle tartufaie naturali anche attraverso un’apposita misura nel futuro Programma di Sviluppo Rurale, sostenga la ricerca e la formazione nel settore tartuficolo.

langhe
sfondo tartufo
Gruppo viticoltori piante tartufigene
Piante Micorizzate

Il consorzio Alta Langa e il tartufo

Oggi è in atto un progetto per sensibilizzare i viticoltori soci del Consorzio a dedicare una porzione di terreno per piantare alberi simbionti del tartufo: potranno essere curati direttamente dagli
agricoltori, o si potranno stabilire accordi con associazioni di trifolao che se ne occupino. Ci sono già stati i primi esempi di piantumazione che hanno visto il coinvolgimento di 10 viticoltori e 150 piante messe a dimora

Sarebbe bello tra alcuni anni poter scrivere: «Abbiamo investito per il futuro, abbiamo saputo attendere. I nuovi alberi hanno reso ancor più belle le nostre colline, i tartufi accolgono con il loro profumo i visitatori o viaggiano per il mondo insieme con l’Alta Langa».

Come dice un antico proverbio:

Se si sogna da soli, è solo un sogno. Se si sogna insieme, è la realtà che comincia

Come ben sanno quanti hanno avviato e portato avanti il progetto dello spumante Alta Langa.

Viaggiare nelle terre dell’Alta Langa

Terre Alta Langa

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