un progetto di

Alta Langa Dossier

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Il genius loci

01Terre d’alta langa

02Poetica

03Rituali contadini

04Cucina

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Immaginari contadini. Riti e miti delle alte colline

Cante j'Euv

Immaginari contadini. Riti e miti delle alte colline

Da un saggio diPiercarlo Grimaldi

Introduzione

Le alte colline che segnano il Piemonte meridionale: Langhe, Monferrato e Roero, custodiscono ancora una narrazione d’impianto tradizionale che va oltre la storia e affondano il loro radicato sapere nei miti e nei riti della terra.

Si tratta di un patrimonio materiale e immateriale costituito dal gesto e dalla parola, che l’umanità delle nostre colline ha tramandato da una generazione all’altra sino al presente.

È indispensabile condurre un’approfondita ricerca che riporti alla luce ciò che resta dei saperi orali e gestuali delle colline delle terre alte al fine di fornire un critico, quanto originale, quadro complessivo del calendario rituale contadino, dei miti e dei riti che ancora scandiscono il tempo della festa e del lavoro.

Una risorsa immateriale fondamentale al fine di valorizzare il lavoro del contadino.

Da quando le vigne delle colline del Piemonte meridionale sono state riconosciute dall’Unesco patrimonio intangibile dell’umanità, si è avviato un aperto dibattito su come le Langhe siano diventate un esemplare modello di sviluppo sugli altri contermini, storici areali, l’Astigiano, il Monferrato e il Roero, che meno sono parte attiva, propositiva di questa contemporanea, originale traiettoria di futuro che ha vinto la mala ora e che guarda al domani con rinnovata fiducia.

Oggi è sempre più evidente il desiderio di unificare in una sola idealità progettuale le campagne che mari di lontane ere hanno unito e a volte la stolta antropizzazione dell’uomo ha contribuito a dividere. Occorre lavorare affinché si giunga a percepire e a vivere questo vasto mare di colline quale unica, indivisibile terra feconda che produce eccellenti prodotti, uve e vini.

Un patrimonio di colture e culture che si accresce nella misura in cui evidenzia sempre più la sua indivisibilità definita da ideali sincere pratiche e forme d’umana mutualità comunitaria.

Le Terre del Consorzio Alta Langa 

Da alcuni anni il paesaggio straordinario delle colline alte si arricchisce di nuovi racconti. Il patto stipulato con la terra che impegna il Consorzio a custodire il territorio che i nostri antenati ci hanno consegnato, deve essere a fondamento di un ereditato sviluppo antropico educato e civile che nel passato riconosce le ragioni logiche e affettive per immaginare il futuro.

L’inquietante aumento delle temperature ha reso possibile una sorprendente coltura del vino che cerca nelle campagne alte, vigne portatrici di originali vini.

Il lavoro di studio e ricerca del Consorzio Alta Langa vuole fornire indicazioni di senso per un’umana ri-nascita dei due territori, che non possono vivere l’uno senza l’altro e ha a cuore il superamento di questo dissidio strutturale e culturale.

Il Consorzio Alta Langa, che ha avviato una viticoltura sostenibile e armonica al delicato biodiverso tessuto di queste colline, vuole impegnarsi in un patto di fiducia e di onestà al fine di contribuire alla custodia delle campagne alte e dei loro valori, nel rispetto dei ritmi costitutivi delle avvicendanti stagioni e delle trascorrenti lune rigeneranti. Un patto volto a recuperare le scansioni rituali del calendario contadino.

Fin dal primo momento il titolo del lavoro fu “Progetto Spumante Metodo Classico in Piemonte”. E rimase quello fino alla fine del lavoro.

Sicuramente il turismo, a partire dagli anni Settanta del Novecento, su queste colline qualche bel problema l’ha anche creato. L’innocente e libero trascorrere nelle terre di cascina dipendeva soprattutto dai tempi in cui i prodotti della campagna giungevano a maturazione e, durante i delicati momenti dei raccolti, i campi erano interdetti al passaggio.

Vivere e abitare la tradizione

Del vivere e abitare le colline della tradizione abbiamo un’indispensabile documentazione etnografica che lo studioso Paul Scheuermeier ha raccolto nel corso di due decenni per il
mondo contadino italiano (1980). La ricerca in Piemonte si estende per oltre un decennio, dal 1921 al 1932, e porta alla luce e ricostruisce un vasto materiale linguistico ed etnografico diffuso sul territorio.

Una vita dai profondi tratti selvaggi che invita a riflettere sulla dura sopravvivenza nelle nostre campagne. Il ricercatore svizzero fotografa grotte adibite a stalla e a magazzino per gli attrezzi della cascina. A partire da queste notizie è stato possibile riportare alla luce altri luoghi, tane, grotte, scavi tufacei che sostituivano il vivere in una casa e che in altri casi servivano per ampliare la cascina, diventando luoghi per gli animali, ricoveri per gli attrezzi e di custodia per il vino.

Ho condotto nel corso degli ultimi anni, interviste soprattutto tra gli anziani che hanno vissuto il loro tempo di vita in campagna e si sono dedicati all’agricoltura senza avere sperimentato come è accaduto per molti, esperienze urbane.

Campagne vissute senza soluzione di continuità sia per quanto attiene il processo produttivo sia per lo stile di vita, con valori che sembrano conservarsi ed evolversi in modo organico e funzionale al passato, tanto che da alcuni decenni hanno dato vita a una diffusa economia vitivinicola d’eccellenza che si è imposta nei più prestigiosi mercati del mondo.

Un’economia che si fonda su di una produzione di famosi, unici prodotti della terra a fondamento di una cucina d’arte povera.

Oggi quelli che sono rimasti a lavorare nei campi risultano agli ultimi censimenti il tre per cento della popolazione attiva.

Dagli anni Settanta ho condotto una costante ricerca di terreno volta a recuperare e analizzare soprattutto i riti, i miti, le feste e le cerimonie che caratterizzano il tempo festivo del calendario della tradizione.

Sono partito dalla mia natale terra di Langa per comprendere il complessivo areale di colline che caratterizzano il Piemonte meridionale, per poi aprirmi a uno sguardo della regione, in particolare all’arco alpino.

La poetica universale in un fazzoletto di colline

cesare pavese

Cesare Pavese

Beppe Fenoglio

Cesare Pavese e Beppe Fenoglio sono i due scrittori che hanno dato poetica universale alle nostre colline. Augusto Monti appartiene alla generazione precedente e a partire dal 1929 dà alle stampe la saga di una famiglia della Langa della Bormida, la sua.

Monti e Pavese emigrano dalle colline alla ricerca di un’intellettuale modernità che solo la città sembra saper dare. Vivono la loro vita professionale a Torino e le origini diventano la fertile memoria di un luogo mitico che per sempre si portano nel cuore e un complesso e non sempre risolvibile problema dell’anima.

Un confronto quello tra città e campagna che governa e nutre la loro complessiva letteratura. Un dissidio letterario e esistenziale per Pavese mai risolto. Monti, all’opposto, canta di un amore per le sue terre selvagge e di confine. Un canto che oggi diventa più che mai attuale.

Beppe Fenoglio vive la sua breve esistenza in Langa, ad Alba, alla ricerca delle terre dell’alto, delle radici del suo parentado.

Un quadro poetico che non sarebbe completo, se non ricordassimo, i fratelli Giorgio e Paolo Conte, artefici di una letteratura canora che incanta il mondo e che non sarebbe tale se non fosse l’esito di un comune sentire che si esprime in un’autonoma fratellanza, a partire, ancora una volta, come per i nostri scrittori, dai ritmi delle campagne.

Una poetica di collina che non ha smesso di raccontare la sua grande bellezza, i miti, i riti, le pratiche e i simboli di un intangibile patrimonio di saperi che continua a incantare il mondo.

Il calendario rituale contadino 

giostra
orso lunare

Figura etnica dell’orso di sfoiass, foglie di meliga

Il calendario contadino si veste a festa nello stretto varco estivo, tra luglio e agosto, quando nei campi, mietuto il grano, si attende la maturazione dei frutti del primo autunno. Quali sono i ritmi identitari che definiscono il tema festivo della tradizione che persiste sulle colline?

Il ballo a palchetto, dove ancora alcuni decenni or sono suonava “una scelta orchestra”, oggi sopravvive e ritorna a ri-occupare la piazza del paese.

I falò appartengono ai riti più profondi. Cesare Pavese ricostruisce ne La luna e i falò la presenza mitica, sacrificale, purificatrice del fuoco nel mondo contadino. Avevano anche la funzione di salvare le vigne e gli alberi da frutta dalle gelate primaverili. Anche per combattere la fillossera con lo stesso spirito i contadini accendevano falò al co’ d’la vigna, perché il fuoco magicamente purificante veniva anche saltato di corsa dai contadini che avevano lavorato nei filari nel tentativo di sterilizzare abiti e asiamente, gli attrezzi del lavoro, così da non essere portatori della malattia.

Il due febbraio, festa cristiana della Candelora, è una delle ricorrenze rituali più importanti del tempo festivo annuale. Il mito narra che in questa notte l’orso carnevalesco esce dalla grotta e in funzione della fase lunare decide se il tempo del risveglio è iniziato. Il contadino, attendeva di osservare questi segni mitici per chiudere la stalla alle veglie invernali e per dare inizio ai lavori dei campi.

Accanto all’orso è rilevante nella nostra area d’indagine la figura della capra di cui abbiamo testimonianza di un ricco passato folklorico, soprattutto nell’Astigiano. Quando in una famiglia una sorella più giovane si sposava prima della primogenita, a questa veniva riservato lo scherzo di portare una capra durante la festa a significare che il tempo naturale delle speranze coniugali era scaduto e doveva considerarsi sul mercato matrimoniale al pari di una contrattata capra.

Il tempo festivo della tradizione in Piemonte è soprattutto definito e compreso all’interno di un istituto folklorico: la Badia o Abbadia. Un’associazione di giovani, che aveva e in parte ha ancora, il compito anche statutario, scritto, di osservare, rispettare e tramandare i gesti e le parole del mito e del rito nei momenti di festa della comunità.

Cantare le uova: i quaranta giorni della Quaresima che portano alla Settimana Santa, i giovani li dedicano al canto delle uova. Un canto popolare: aprire le finestre alla primavera alle porte è l’antropologico dono e controdono che la comunità dei giovani mette in atto. Il dono è rappresentato dal canto quaresimale di questua che augura un’annata fruttuosa. Il controdono sono le prime uova di stagione che la padrona di casa ha messo da parte e consegna al personaggio vestito da frate.

casa fregio alba

Fregio quattrocentesco in terracotta posto a segnapiano - Casa Do, Alba

sfondo mano
Addomesticazione del fuoco selvaggio
Gemma Boeri
Camulin
Tajarin, Trattoria della Posta da Camulin

La cucina delle donne e delle origini

La cucina è senz’altro la più straordinaria sintesi dei preziosi frutti di queste terre che si fonda sull’abilità delle donne che ne hanno reso unica la gastronomia. La donna di casa doveva preparare il pranzo e la cena per le persone e per gli animali con la poca flessibilità che il fuoco selvaggio permetteva e quindi anche gli eccezionali prodotti della terra potevano, se non in parte, essere cotti compiutamente e quindi dare vita a una cucina più elaborata.

È per queste ragioni che le giovani donne delle nostre colline erano ricercate più di quelle di altre aree rurali.

Un lavoro di servitù che diventava anche un opportuno scambio di culture quando la giovane riusciva a combinare i suoi semplici saperi gastronomici di campagna con quelli più raffinati della città, quando coniugava la più semplice manualità della cucina contadina con quella urbana più complessa e la memoria orale del cibo con la scrittura delle ricette.

Di questo piccolo/grande mutamento abbiamo un’indispensabile documentazione etnografica, ancora indagata dallo studioso Paul Scheuermeier.

  • Raviole al Plin – I piccoli agnolotti fatti a mano che richiedono una particolare abilità alla donna che li prepara, soprattutto quando compie il gesto del racchiudere il contenuto, nella sottile foglia di pasta. Le raviole al plin sono esempio evidente e trasparente di come si trasmettono i saperi orali e gestuali da una generazione all’altra.
  • Tajarin – I tajarin, nella leggenda locale, nascono a Cossano Belbo, dove l’acqua è l’ingrediente che fa la differenza. Un sapere che continua perché le donne di casa si sono sempre passate le abilità gastronomiche a partire dall’antica operosità del tagliare a mano montagne di tagliatelle.
  • Bunet – Il bunet è un dolce fatto con uova, cacao amaro, amaretti secchi, caffè forte, marsala secca e Fernet che le donne di casa preparavano quale digestivo al termine del grande pranzo.
  • Friciule – Un cibo semplice che nasceva dalla rifunzionalizzazione della pasta del pane quando non poteva essere portata in paese per la cottura. Nell’inverno quando grandi, improvvise nevicate, non permettevano di portare a spalle la pasta al fornaio per la cottura del pane, in una padella con l’olio che friggeva la donna immergeva piccoli tondi fogli di pasta appena stirati con le mani.
  • Bagna cauda – Un piatto etnico che possiamo pensare possa essere nato nelle valli degli orti che segnano l’orografia delle colline. Il cardo gobbo di Nizza Monferrato è sicuramente la verdura principe del conviviale intingolo nato da una cottura lenta e lunga di aglio, acciughe e olio. Il piatto più sociale e nel contempo più divisivo che conosciamo.
  • Polenta – La polenta ha sfamato le campagne per secoli ed è il cibo che ritualizza il passaggio tra l’inverno e il risveglio della nuova stagione agraria.
la festa del polentone a Ponti in valle Bormida
Censa dell'Osteria del Peso

La resistenza: di cucina e di pallone elastico

È soprattutto sulle alte colline che i giovani hanno trovato una vera, solidale comunità di destino, ospitale e disposta a condividere il dramma della guerra e misere riserve alimentari.

Qui il contadino solleva muraglie potenti e possenti che terrazzano la campagna, recuperando fazzoletti di terra, frammenti di spazi rubati allo scosceso che formano una rete di sopravvivenza anche sociale, che danno un senso profondo al vivere in collina. Allo stesso modo il gioco per eccellenza d’identità e di cultura, il pallone elastico, nelle terre alte si pratica nei luoghi più impervi, in condizioni dove l’atleta del presente non si attarderebbe se non con uno sguardo di disgusto.

Alla fine della fine 

L’alto e il basso: una campagna, una madre terra che non può vivere l’una senza l’altra, perché l’una e l’altra sono per natura indivisibili, e corrugano un solido e unico oceano mare, in una parte consistente del Piemonte meridionale.

Proprio a cavaliere delle alte colline del Belbo e della Bormida sono state trovate due stele antropomorfe, pali in pietra a sostegno di una vigna impiantata al tempo della fillossera.

In questi anni un neo-picapere, lo scalpellino Nando Gallo, ha ricostruito coppie conformi a quelle originali che hanno dato vita a una nuova vigna nei tenimenti di Mirafiore di Fontanafredda, a Serralunga d’Alba.

Le alte colline, terre rare perché terre di profonda generosità che offrono molto e richiedono poco, solo di essere rispettate per quello che sono, un poetico universo di natura su cui coltivare il meglio della nostra umanità.

Alta Langa e Tartufo bianco d’Alba

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