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Viaggiare nelle terre dell’Alta Langa
Viaggiare nelle terre dell’Alta Langa
Da un saggio diMauro Carbone
Introduzione
Alta Langa è bella se ti perdi. Innanzitutto è bene ragionare per valli, che sono il metro per dare un senso alla terra dell’Alta Langa. Poi scopri dove sono le vigne, perché qui la biodiversità la tocchi con mano e la vedi con gli occhi.
Scopri soprattutto che le uve dell’Alta Langa non vengono da terre afflitte da monocoltura, ma da una agricoltura ricca di prodotti della terra e dell’allevamento, che vuole dire anche formaggi da scovare presso micro caseifici per personalizzare ogni degustazione. E poi c’è la gente. Qui è tutto vero.
E lo si scopre ascoltando il suono del dialetto che cambia ogni dieci chilometri, come se tracciati e confini medievali non fossero variati di un metro. Entrando nelle osterie e mangiando quello che arriva dalla cucina senza chiedere nulla. Salendo sui bricchi (qui nessuno li ha mai chiamati colli) a vedere panorami sempre diversi, a cui non manca mai un elemento architettonico che marca l’orizzonte.
L’Alta Langa evoca un modello di viaggio diverso, dove la meta può cambiare in ogni momento, perché anche lo sguardo di un contadino, una robiola venduta dalle mani vissute di un allevatore, una sosta in osteria a sbirciare un tavolo dove si gioca a carte, possono diventare meta. Basta andare piano, guardarsi intorno e sapere cogliere l’attimo. Allora partiamo e buon viaggio, su e giù dai bricchi dove nasce l’Alta Langa docg.
Lo spirito del viaggio. Creste, valli, borghi, panorami. Non c’è altro, e va bene così.
Le curve sono il prodotto tipico, stanno lì da troppi secoli per essere oltraggiate e superate da viadotti e gallerie. Senza di quelle i tempi sarebbero troppo corti e la velocità troppo alta. Soprattutto non ci sarebbe l’emozione di scovare un punto di vista nuovo a ogni sterzata: viva le curve e le salite ripide.
Da non perdere i paesaggi terrazzati. È incredibile quante pietre siano state cavate, mosse, allineate. Posizionate in una infinita serie di muri a secco. L’ingegno tecnico di mani sapienti che, senza l’ausilio di alcun mezzo meccanico, hanno riplasmato intere valli. Non sempre il bosco si è inghiottito quel lavoro durato secoli. Vale il viaggio da solo, magari con una sosta in uno degli innumerevoli piccoli casolari, che tutti hanno sempre chiamato ciabot, per godere della vista e per chiedersi chi li avrà mai costruiti e abitati, nelle soste dei faticosi lavori in campagna.
Abbassate il finestrino, fermatevi nei punti più esposti e godetevi il vento. Arriva da sud ovest, carico di salinità e di odori di Tirreno, di umidità e di caldo: qui lo chiamano Marìn, di mare. Non è solo brezza: è una sensazione avvolgente, è un profumo che si ritrova nel cibo e nei vini, è la certezza che sei arrivato sulle colline a sud del Piemonte, dove le uve da Alta Langa trovano l’habitat più felice. Marìn vuol dire anche nuvole basse in movimento molto rapido, nebbia che ti viene a prendere da un momento all’altro, paesaggio che diventa tutto bianco in un attimo.
E poi ci sono i manufatti ereditati dal medioevo, i castelli, le torri, le pievi, le cappelle affrescate, lassù in mezzo al nulla, come se fossero la testimonianza di una civiltà che non si è estinta, si è solo spostata un po’ più in là, lasciando alcune sentinelle che ti osservano mentre sali sulle creste.
Terra, pietra acqua (poca)
Tutto iniziò “facendo passare”. Per i non indigeni meglio tradurre il piemontesismo: significa effettuare gli scassi del terreno, scavare per un metro e mezzo, ovviamente senza mezzi meccanici, e rivoltare la terra prima di realizzare un impianto di vigneti. Così il terreno si rinnova, quello più ricco di sostanze viene in superficie e si dissoda. Questa manovra porta a galla anche molte pietre di arenaria. Tutte quelle pietre da rimuovere dalle aree destinate alla coltivazione, ora appaiono intrecciate in una maestosa trama di architettura rurale quali sono i terrazzamenti o le cascine tradizionali dai bellissimi muri di pietra a vista.
Lavorare la terra ha voluto dire anche disboscare, ma qui non ha significato eliminare il bosco. Piuttosto ha portato a illuminare prati e radure ben esposti tra i boschi che da sempre popolano i rii laterali e ampie aree di collina non utilizzabili per la coltivazione.
Un mix armonico e straordinariamente sostenibile: vasti polmoni di verde intenso naturale, boschi che danno funghi straordinari, alternati alle zone coltivate a prato, seminativi, piante da frutto.
E un grande e commovente ritorno: la vite, che qui c’era e se ne è andata negli anni dei grandi esodi. La vite ha bisogno di grandi cure, non permette una coltivazione compatibile con altre attività, quindi ha significato dove genera un reddito adeguato. Per troppo tempo non è stato così, ora sulla spinta delle bollicine d’autore e del cambiamento climatico che rende valide anche le terre più alte, molto sta cambiando. Compreso il panorama, che da qualche anno si è arricchito di filari e geometrie tipiche della viticoltura.
I calanchi, grandi depositi di marna che segnano soprattutto la Valle Bormida di Spigno si presentano come un paesaggio lunare, quasi privo di vegetazione, con grandi dune dal tipico colore grigio che rende il paesaggio selvaggio e duro.
Le Langhe sono ancora popolate e produttive grazie alla prodigiosa opera dell’Acquedotto delle Langhe, che porta l’acqua per cento chilometri dalle montagne intorno a Limone Piemonte fino ai fondovalle.
In realtà i fiumi ci sono, ma sono utili soprattutto per orientarsi. Da ovest verso est si inizia con il Tanaro. È il più grande di tutti, e anche il più lungo, tocca le principali città del Sud Piemonte e divide le Langhe dalla pianura cuneese e dal Roero, prima di tagliare a metà il Monferrato.
Appena oltre il Tanaro nascono le due Valli Bormida, di Millesimo e di Spigno, che a Bistagno confluiscono per procedere verso Acqui Terme e Alessandria. Sono la porzione più selvaggia del territorio di produzione dell’Alta Langa insieme con la Valle Uzzone, un torrente di pochi chilometri quasi sempre in secca che incide il confine con la Liguria fino a Cortemilia.
Tra Bormida e Tanaro scende il Belbo, tra pendii e scoscesi che nei primi chilometri sono coperti di prati e boschi per diventare a metà valle più aperti e coperti da una enorme distesa di vigneti.
Due torrenti scendono dall’Appennino alessandrino per gettarsi nella Bormida: l’Erro che solca le colline da Sassello verso Acqui Terme e l’Orba, che nell’Ovadese lambisce il confine di produzione dell’Alta Langa.
Le Valli della Bormida sono il cuore della civiltà medievale, quando la famiglia dei Del Carretto regnava controllando le vie di comunicazioni dei carri, che allora viaggiavano su strade insidiose ricevendo protezione in cambio di pedaggi. È la zona più ricca di arte medievale, di torri e di castelli, di ponti tanto significativi dal punto di vista storico quanto suggestivi visti oggi.
Gente da alta langa
Il popolo dell’Alta Langa lo capisci se entri in uno sferisterio. Lo sferisterio è lo stadio, ma anche l’agorà di queste colline, dove da sempre si gioca alla pantalera, che sarebbe lo spiovente del tetto,
Il popolo delle terre dell’Alta Langa se non è allo sferisterio lo trovi in osteria.
Un posto vero lo capisci perché non è nato sotto i vincoli dei palati dei viaggiatori gourmand, ma piuttosto per soddisfare i bisogni primari dell’uomo: rifocillarsi soprattutto in viaggio con cose buone e nutrienti e socializzare con i propri simili in un luogo confortevole.
L’osteria ha forgiato le sfumature dialettali, ha veicolato il sapere orale, ha permesso di custodire un patrimonio di conoscenze gastronomiche passato di generazione in generazione da cuciniere straordinarie, che hanno affinato una infinita sapienza nel cucinare cose buone con prodotti coltivati, raccolti o allevati a pochi metri dalla stufa, rigorosamente a legna.
L’altra funzione imprescindibile delle osterie è stata quella legata alla formazione del pensiero comune. Non berremmo Alta Langa se queste terre negli anni Ottanta non avessero detto basta all’Acna, l’azienda chimica che per un secolo ha avvelenato la Valle Bormida distruggendo vite e produzioni, persone e tradizioni.
L’osteria è anche questo, è il posto dove vai a respirare il clima umano del momento, a scoprire che aria tira e a sentire qualche racconto da conservare nella tua memoria.
Ma cosa fanno le donne e gli uomini delle terre dell’Alta Langa, quando non lavorano in vigna?
Innanzitutto nocciole: tonde, gentili, trilobate e soprattutto buonissime. Sono deliziose già da crude, hanno un profumo indimenticabile dopo la sgusciatura e la tostatura, rendono irresistibili i dolci in cui vengono impiegate. Varietà, terreno e microclima sono la formula vincente di un frutto utilizzato dai migliori pasticceri e trasformato dai piccoli corilicoltori in creme, torte e brut e bun da portare a casa come souvenir.
Prima di ripartire non si può non assaggiare l’altra prelibatezza di questa terra: la robiola. Diverse le tipologie, ma il marchio più noto è “Roccaverano dop”, un formaggio a latte esclusivamente caprino dalla capacità aromatica straordinaria, un’esplosione di aromi che cambia di giorno in giorno e di pascolo in pascolo.
Ma la robiola vale il viaggio anche per conoscere chi munge due volte al giorno, chi caseifica prima di ogni tramonto, chi percorre pascoli e prati ogni giorno alla ricerca dei fiori spontanei di stagione che meglio possono caratterizzare il formaggio ottenuto dal latte degli animali che li brucano.
Tra un vigneto e un appezzamento variamente coltivato, c’è sempre qualche albero. Difficile dire se sia buono da tartufo, lo sanno solo i trifolao.
Più facile è scoprire il profumo del loro raccolto: in autunno ogni ristorante, agriturismo, osteria ha tartufi, consegnati all’alba dai cercatori che rientrano dalla battuta notturna.
i luoghi bollicina
Nelle terre dell’Alta Langa in poche decine di chilometri si incontrano quasi centocinquanta comuni. Ogni borgo ha un Sindaco, uno stemma, un qualcosa di identitario a cui nessuno degli abitanti vuole rinunciare.
In rigoroso ordine alfabetico, i dieci “luoghi bollicina” da non perdere nel vagare tra le terre dell’Alta Langa.
Torre di Murazzano
Castello Gancia di Canelli (Ente Turismo LMR)
Centro Storico di Cortemilia
Monastero Bormida (Ente Turismo LMR)
Ovada (ATL Alexala)
Castello di Prunetto (Ente Turismo LMR)
Centro storico di Roccaverano (Ente Turismo LMR)
Parrocchiale di Sant'Ambrogio Spigno Monferrato (ATL Alexala)
Bossolasco e Murazzano
A 8 chilometri una dall’altra, sono i paesi simbolo dell’Alta Langa. Il panorama amplissimo sull’arco alpino e il silenzio tra le vie strette e affascinanti, sono il minimo comune denominatore dei due borghi da sempre rivali. Da non perdere i profumi: sono due paesi ad alta vocazione gastronomica, come testimoniano gli aromi delle cucine dei ristoranti che si affacciano sulle vie dei centri storici.
Canelli
Nella seconda metà dell’Ottocento a Canelli prendeva vita lo spumante italiano. Pochi metri sotto la superficie le quattro cattedrali sotterranee che hanno fatto la storia sono sempre lì, da vedere, percorrere, mentre mani sapienti ci mostrano le tecniche di lavorazione. E tornati in superficie, vale assolutamente la salita alla Sternìa, la via lastricata in pietra che risale l’erta collina verso il castello, mentre si apre un bellissimo panorama su tutta la Valle Belbo.
Cortemilia
È la capitale della nocciola tonda gentile. Borgo diviso a metà dalla Bormida di Millesimo, ha due centri storici dove è bene prendersi una pausa in pasticceria. A pochi passi dagli impianti che tostano la buonissima Nocciola Piemonte igp, la sapienza antica del cucinare dolci garantisce prodotti memorabili. È anche un ottimo luogo per iniziare escursioni, verso i piccoli borghi di sommità e i vicini terrazzamenti.
Monastero Bromida
Monastero è l’archetipo dei borghi di origine medievale: castello, torre, piazza, ponte. La vivacità culturale, promossa da un ampio programma di mostre e spettacoli, garantisce attività tutto l’anno. È anche il punto di partenza del 5T, il sentiero che unisce cinque torri in un percorso ad anello di oltre 30 chilometri, perfetto per scoprire ambienti incontaminati, paesaggi e borghi dove il tempo si è fermato.
Ovada
Alla confluenza di due fiumi, Ovada si trova nel cuore dell’Alto Monferrato, ai piedi delle strade che salgono verso l’Appennino per arrivare velocemente a Genova. La Liguria è lì dietro, la respiri tra i vicoli del centro che sanno tanto di caruggi e la assaggi con le acciughe della bagna caoda che da secoli scollinano verso il Piemonte passando per Ovada. E punto di partenza ideale per visitare l’Alto Monferrato, i castelli di Tagliolo, Trisobbio e Rocca Grimalda, ma anche la natura sempre più incontaminata, a mano a mano che si sale verso le selvagge alture appenniniche.
Prunetto
Un castello massiccio, di Pietra di Langa che pare eterna, se ne sta lì ben piantato a poca distanza da una chiesa medievale meravigliosamente affrescata. Sembra di vivere una scena di settecento anni fa, quando il castello dominava le vie di comunicazione dal mare e dettava legge su territori molto vivaci. Ora è tutto un silenzio, una voglia che cresce di fermarsi su uno dei prati più belli delle Langhe.
Roccaverano
Dici Roccaverano e dici robiola. Di capra. Allevata con i foraggi ricchi di fiori prodotti nei prati che vedi dalla cima della torre cilindrica alta 30 metri, sempre visitabile. Da lì si gode di una vista straordinaria, che unisce il profilo delle Alpi con la facciata, proprio sotto la torre, della chiesa di ispirazione bramantesca che domina la piazzetta. Non si riparte senza avere degustato il Roccaverano dop in ogni sua stagionatura e avere conosciuto almeno un allevatore casaro.
Spigno Monferrato
Nel mezzo della Valle Bormida omonima, Spigno si presenta come un borgo medievale affascinante con un centro storico da percorrere a piedi alla ricerca di dettagli e curiosità che testimoniano una tradizione antica. Bellissima la natura che lo circonda, tra calanchi grigi e maestosi, e coltivazioni di lavanda che a inizio estate colorano il paesaggio con toni suggestivi.
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