01Il progetto spumante
02Sperimentazione
03Denominazione di origine
Gli anni ’90, il progetto spumante e la nascita della denominazione
Gli anni ’90, il progetto spumante e la nascita della denominazione
Da un saggio diGiancarlo Montaldo e Teresa Baccini
Alta langa, Un nome evocativo
Chi si interroga sul nome Alta Langa, che sembra semplice per uno spumante che nasce in alta collina, in questa parte del Piemonte dove la vite ha messo radici più profonde, è bene sappia che è stato scelto dopo scrupolose indagini.
Dappertutto “alto” è sinonimo di prestigio, di statura impareggiabile. Nel vino, poi, “alto” racconta la fragranza, la nobiltà, la capacità di resistere al tempo: in alto il clima è fresco e temperato, la situazione migliore per fare vini che ogni anno sono espressivi.
E poi c’è “Langa”, la seconda parte del nome. Pensate a quelle colline, alle forme tonde e sode, ai cieli tersi, ai frutti e ai fiori che qui sembrano più variopinti del solito e al bosco ricco di colori tenui e profumi intensi, dove il tartufo annuncia la stagione della tavola esuberante.
Mettete insieme i due nomi (Alta Langa) e troverete la sintesi preziosa, capace anche di rappresentare una lunga fascia di territorio di alta collina...
Morfologicamente piuttosto omogeneo, che supera e unifica i confini delle province interessate, quelle di Alessandria, Asti e Cuneo.
Il termine Langa ha radici celtiche e significa “lingua di terra” come sono le colline allungate di questo territorio.
Quando queste colline raggiungono le maggiori altitudini allora di parla di “Alta Langa”. Un mondo speciale, fatto di donne e uomini, luoghi e tempi, novità e tradizioni, un mondo che poco per volta ha raccolto dalla terra, dal cielo e dalla vite i caratteri di questo vino e un bel giorno ha deciso che lo spumante “Alta Langa” poteva venire alla luce.
Per questo, Alta Langa metodo classico, anche se ufficialmente non è nato da molto, nel mese di ottobre 2002, in realtà viene da lontano.
Tutto è iniziato...
Tutto è iniziato un po’ per caso e un po’ per colpa di altri.
Il 15 gennaio del 1990 il telefono squillò nello studio di Giancarlo Montaldo, libero professionista nel settore vitivinicolo, era Ugo Conti, enologo e direttore tecnico della Riccadonna di Canelli. Gli disse che era con il suo titolare, Ottavio Riccadonna e che stavano tornando da Torino dove si era tenuta una riunione importante tra la più note Case spumantiere piemontesi.
A metà novembre del 1989 l’Italia dello spumante era stata scossa dal “proclama” dei produttori e degli organismi pubblici di Franciacorta, Oltrepò Pavese, Trentino e Alto Adige che, con un protocollo d’intesa, avevano sostenuto che le uniche zone italiane vocate alla produzione degli spumanti metodo classico erano quelle da loro rappresentate. Da queste zone il Piemonte era escluso.
Questo gesto agli occhi degli spumantisti piemontesi suonò come una provocazione. Era proprio di questo che Riccadonna e Conti volevano parlare. L’intento sarebbe stato di intervenire con una campagna mediatica di risposta.
Tutto ruotava attorno a una questione: la necessità per il Piemonte, regione che aveva dato i natali alla spumantistica italiana, di organizzare e codificare un comparto viticolo per la produzione di uve Pinot nero e Chardonnay da destinare a tali prodotti.
Fu individuato un gruppo di Case dello spumante piemontese intenzionate a lavorare per ottenere il riconoscimento di una vocazione al metodo classico che pareva ovvia: Cinzano, Gancia, Martini & Rossi e Riccadonna, completato da tre aziende più piccole, Contratto, Fontanafredda e Banfi.
Articolo 18 dicembre 1989 - gazzetta d'Asti
Germogliamento del tralcio
DA SINISTRA A DESTRA > Livio Testa (Fontanafredda), Giorgio Giusiana (Martini & Rossi), Pier Filippo Cugnasco (Cinzano), Giuseppina Viglierchio (Banfi), Vittorio Vallarino Gancia (F.lli Gancia), Ezio Cantù (Riccadonna), Alberto Contratto (Giuseppe Contratto)
Non c’è tempo Da perdere. Al lavoro
Le persone chiamate a confrontarsi su questi temi furono Gianfranco Caci e Pier Filippo Cugnasco per la Cinzano, Alberto Contratto per la Contratto, Alessandro Abruzzese, Livio Testa e Giovanni Minetti per Fontanafredda, Vittorio Vallarino Gancia per la Gancia, Giorgio Giusiana per la Martini & Rossi, Ottavio Riccadonna per Riccadonna e Giuseppina Viglierchio per Banfi.
Metabolizzando la questione Montaldo aveva capito che sarebbe stato un errore rispondere al proclama delle altre zone spumantistiche solo con una campagna mediatica. Era il momento di adeguare il comparto viticolo piemontese.
Inizia il progetto spumante metodo Classico In piemonte
Il titolo del lavoro fu “Progetto Spumante Metodo Classico in Piemonte”. Il 28 febbraio 1990 i rappresentanti delle sette Case – le Sette Sorelle come vennero poi chiamate negli anni successivi – firmarono un protocollo comune nel quale si impegnavano a sostenere economicamente il progetto fino al risultato finale.
Fu incaricato lo Studio Montaldo di seguire lo sviluppo dei lavori e si individuò nell’Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano Veneto, che ad Asti aveva una sezione molto dinamica, il soggetto ideale per avere una responsabilità tecnica e scientifica autorevole.
I suoi due personaggi di maggior spicco, Antonio Calò per Conegliano e Lorenzo Corino per Asti, parteciparono al primo momento ufficiale, l’incontro pubblico il 5 marzo alla Camera di Commercio di Asti, sotto la presidenza di Vittorio Vallarino Gancia che in quel momento era anche presidente dell’ente camerale.
Tanti parteciparono al confronto: i rappresentanti delle Sette Sorelle con i loro tecnici, esponenti delle organizzazioni professionali (Coldiretti, Unione Agricoltori e Confcoltivatori), e delle associazioni di produttori (Piemonte Asprovit e Viticoltori Piemonte), rappresentanti delle Camere di Commercio e delle Province di Alessandria, Asti e Cuneo, l’assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte Emilio Lombardi.
Tutto il lavoro progettuale veniva pienamente condiviso.
Fin dal primo momento il titolo del lavoro fu “Progetto Spumante Metodo Classico in Piemonte”. E rimase quello fino alla fine del lavoro.
Alla fine dei lavori, venne approvato il coinvolgimento della sezione astigiana dell’Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Conegliano Veneto e venne istituito un Comitato Paritetico Provvisorio tra i rappresentanti dei viticoltori e le Case spumantiere, che sarebbero intervenute con i loro tecnici.
Mentre Lorenzo Corino lavorava sul Programma e sulla Convenzione, Giancarlo Montaldo si dedicò agli incontri con i protagonisti del settore vitivinicolo piemontese.
Incontrò i direttori delle due associazioni dei produttori, Gianluigi Biestro della Piemonte Asprovit ed Ezio Borgio per la Viticoltori Piemonte, e gli esponenti delle organizzazioni professionali agricole, per trovare un terreno comune di lavoro e impegno.
Il gruppo delle Sette Sorelle era disponibile a finanziare una ricerca sperimentale che avrebbe portato vantaggi anche al mondo viticolo.
Il 9 maggio 1990 Corino presentò il programma di lavoro pluriennale.
Il Comitato Paritetico Provvisorio chiarì gli orientamenti di base: bisognava lavorare sulle colline vitate delle tre province meridionali del Piemonte (Alessandria, Asti e Cuneo), setacciando il terreno e l’ambiente dal Monregalese fino ai Colli Tortonesi.
Si preferì concentrare l’impegno solo su due varietà, Pinot nero e Chardonnay, suggerite da esperienze storiche datate fin dalla metà dell’Ottocento.
La vendemmia non È lontana, bisogna Coglierla al volo
Acino di Pinot nero
Fase di germogliamento primaverile del Pinot nero
Il 1° di agosto 1990 l’enologo Giovanni Malerba, originario dell’Alta Langa astigiana, iniziava la sua collaborazione con l’Istituto di Viticoltura e le Case Storiche in qualità di tecnico responsabile dei i vigneti.
Individuati alcuni vigneti di Chardonnay e Pinot nero in destra Tanaro, si decise di campionare le uve per capire come si comportassero queste varietà nel processo di maturazione. La stessa cosa si sarebbe ripetuta negli anni successivi e questo avrebbe consentito di mettere da parte una serie storica di dati tecnici utili anche ad avvalorare la vocazione del Piemonte al metodo classico.
Il Comitato Tecnico, che radunava gli enologi responsabili della produzione delle varie Case, cominciò a ragionare sui passi futuri.
Non ci volle molto a rendersi conto che le verifiche condotte sui vigneti già esistenti potevano non bastare.
Si capì che sarebbe stato fondamentale realizzare dei vigneti sperimentali.
Il 31 gennaio 1991, al quinto piano del palazzo dell’assessorato all’Agricoltura della Regione Piemonte, Emilio Lombardi in persona sollecitò il gruppo delle Case a seguire quella strada.
Nel 1991 si sarebbero ripetute le verifiche già condotte nell’anno precedente e si sarebbero cominciati a progettare i vigneti sperimentali.
Il Comitato Tecnico si ritrovò a fine anno per esaminare i risultati del lavoro condotto nel 1991. Alla luce di quanto emerso, la decisione del gruppo fu di proseguire sugli approfondimenti. In particolare, di tornare a incontrare l’assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte per vedere nel concreto cosa si potesse fare e, come promesso un anno prima, il supporto dell’assessorato all’Agricoltura non mancò. Emilio Lombardi istituì a favore del Progetto un plafond di 118 ettari di vigneti sperimentali.
Bisognava rintracciare terreni predisposti per il vigneto con una superficie di un ettaro circa, posti a un’altitudine tra i 250 e i 550-600 metri sul livello del mare, con suolo compatto, prevalentemente calcareo-argilloso, con preferenza per le cosiddette “terre bianche” rispetto alle “rosse”.
Si era ritenuto opportuno escludere a priori i terreni con rilevante composizione sabbiosa. I vitigni dovevano essere il Pinot nero, al quale sarebbe stata riservata la superficie più ampia (il 75-80% del totale), e lo Chardonnay, tutti con cloni specializzati per la spumantizzazione.
In totale sarebbero stati impiegati nei nuovi vigneti 28 cloni diversi di Pinot nero e 12 di Chardonnay.
Ma la scommessa più esaltante fu la ricerca dei viticoltori e la selezione di quelli che avrebbero realizzato il vigneto sperimentale. Oltre all’incertezza di conservare il vigneto fino alla fine della sperimentazione c’era un altro elemento che li frenava: avevano bisogno di qualche garanzia dalle Case spumantiere sul ritiro delle uve.
La strada più logica era quella di firmare un reciproco impegno di fornitura e acquisto che doveva durare almeno cinque anni, ma che nella realtà si sarebbe protratto molto più a lungo.
Sperimentare nelle vigne
Una grande iniezione di ottimismo venne da un viaggio di studi nella culla dei vini spumeggianti, la Champagne e dall’incontro di Giancarlo Montaldo con i quadri dirigenti del Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne. In particolare si rivelò utile l’incontro con Philippe Le Tixerant, che era il responsabile delle Pubbliche Relazioni del Comitato.
Nei mesi successivi grazie a quella esperienza il lavoro sul Progetto Spumante triplicò i suoi ritmi e i risultati giunsero sempre più concreti.
Arrivò il momento di incontrare i viticoltori. L’ambizione del Progetto, già nella fase iniziale, era quella di creare tante vigne con un’anima, una personalità spiccata, in modo da sperimentare concretamente la capacità di adattamento dei cloni da spumante di Pinot nero e Chardonnay agli ambienti collinari del Piemonte meridionale.
Nella primavera 1992 l’avventura dei vigneti sperimentali aveva inizio. Quando le barbatelle arrivarono dalla Francia, vennero distribuite tra i viticoltori che si erano impegnati a fare l’impianto e attecchirono in modo impeccabile.
Quell’anno vennero impiantati 17 ettari di vigneti sperimentali, nel 1993 altri 20 ettari e poi ancora altri 18 nei quattro successivi.
L’Istituto recuperò anche tre ettari impiantati nel 1991 e così il totale del progetto si stabilizzò su 57 ettari di impianti sperimentali: un dato con poche repliche nel mondo vitivinicolo italiano.
Superficie dei vigneti Sperimentali impiantati Per il progetto spumante
Il 1992 è stato un anno cruciale per il Progetto Metodo Classico in Piemonte e anche l’anno delle prime comunicazioni ufficiali verso l’esterno. La mattina del 21 maggio all’Unione Industriale di Torino gli obiettivi dell’iniziativa vennero illustrati a un folto gruppo di giornalisti, autorità e altri produttori.
Nel frattempo proseguivano i controlli di maturazione, condotti sempre su vigneti di Chardonnay e Pinot nero già esistenti sul territorio regionale, con il particolare coinvolgimento del Centro Sperimentale Vitivinicolo Tenuta Cannona.
Il 4 giugno 1993 nasceva l’Associazione “Tradizione Spumante – Comitato di coordinamento tra le Case Storiche Piemontesi”.
Negli anni si avvicendarono alcune aziende all’interno dell’Associazione: nel 1994 alla storica Contratto di Canelli subentrò la Barbero 1891 di Canale, proprietaria della Enrico Serafino. La Giulio Cocchi di Asti aderì invece al gruppo nel 1999, qualche mese prima che la Cinzano lasciasse l’associazione, ristabilendo così il numero dei soci a 7, le “Sette Sorelle dello spumante”.
Il 19 marzo 1997, il gruppo associato tornava a riunirsi, per modificare la denominazione dell’Associazione, che da “Tradizione Spumante” diventava “Case Storiche Piemontesi”.
La sperimentazione In vigneto e in cantina
Posa di una barbatella
Caricamento manuale della pressa nello stabilimento Cinzano, vendemmia 1996
Bisognava innanzitutto definire i caratteri dei vigneti sperimentali e già sul finire del 1991 ne venne realizzato un identikit molto dettagliato.
L’indagine sperimentale ha riguardato nel corso degli anni tre tipi di rilievi nei vigneti e nelle specifiche produzioni: i dati climatici, i parametri vegeto – produttivi e le verifiche sui mosti.
Con questo lavoro sperimentale in cantina, il territorio preso in considerazione è stato misurato in modo scientifico, generando risultati tecnici inequivocabili e capaci di ribadire che le colline piemontesi garantivano alle uve Chardonnay e Pinot nero i caratteri necessari a produrre spumanti metodo classico di elevato livello qualitativo.
Una particolare attenzione è stata dedicata anche alla valutazione dei vini base e ai prodotti delle varie “prove di spumantizzazione” che negli anni a partire dal 1994 sono state sviluppate utilizzando dosaggi di Pinot nero e Chardonnay in percentuali diverse.
Alla fase organolettica hanno partecipato, normalmente in forma collegiale, tutti i tecnici delle aziende, unitamente al gruppo operativo tecnico e organizzativo dell’Associazione. Dall’inizio degli anni Duemila, quando si cominciavano a delineare i prodotti per il mercato, il lavoro di valutazione si è spostato anche all’esterno del gruppo operativo delle Case Storiche, coinvolgendo varie categorie del mercato e del consumo.
I risultati di questi confronti sono stati ogni volta lusinghieri e significativi, anche se si trattava di spumanti prodotti da vigneti sperimentali ai primissimi anni di impianto e produzione.
Protocollo di lavorazione al centro di s. Stefano belbo
Progetto Spumante Metodo Classico in Piemonte – vendemmia 1994
Identikit
del vigneto sperimentale (1991)
Caratteristiche
Ambientalimoderata insolazione
sbalzi termici tra il giorno e la notte
bassa umidità relativaIndice bioclimatico
di Huglin1.700 – 1.800
Altitudine
(metri slm)250 – 550 metri
Tipo di terreno
terreni marnosi, con calcare e argilla
Vitigni
Pinot nero e Chardonnay
Forma
di allevamentocontrospalliera bassa a Guyot ad archetto
un solo tralcio fruttifero oppure cordone
speronato 40 -70 cm dal suoloDensità minima
di impianto4.000 piante per ettaro
Distanza massima
Tra le viti110 cm
Superficie
impianto0,50 – 2 ettari
Durata
del vigneto25 anni
La denominazione Di origine Come risultanza Del lavoro Sperimentale
Divenne sempre più evidente la consapevolezza che l’esito di tutto il lavoro dovesse essere il riconoscimento di una denominazione di origine. E questo influiva ovviamente anche sulla stesura di un disciplinare di produzione rigoroso.
Quanto all’areale di produzione delle uve, i ragionamenti iniziali avevano localizzato quest’area nella fascia collinare delle province di Alessandria, Asti e Cuneo posta alla destra del fiume Tanaro privilegiando il Metodo Classico, con la rifermentazione condotta esclusivamente in bottiglia.
La ricerca più impegnativa si era ben presto rivelata quella relativa alla denominazione del nuovo spumante: doveva trattarsi di un riferimento geografico capace di rappresentare la globalità del territorio sotto vari punti di vista: ambientale, storico e tradizionale.
Nella riunione del Consiglio, il 3 novembre 1998, emergevano due nuove soluzioni: “Alba” e “Altalanga”, con espressa preferenza per la seconda rispetto alla prima. Nella prima formulazione, la denominazione era indicata in una parola sola, ma le valutazioni successive avrebbero fatto scegliere la soluzione a due termini: “Alta Langa”.
Il Disciplinare di produzione con la denominazione “Alta Langa” veniva ufficializzato il 21 dicembre 1998.
La pubblicazione del Decreto di riconoscimento datato 31 ottobre 2002 avveniva sulla Gazzetta Ufficiale n. 275 del 23 novembre 2002, perfettamente in tempo per poter esercitare la sua efficacia già sulla vendemmia 2002 da poco conclusa.
Dopo quasi 13 anni dall’avvio del Progetto Spumante Metodo Classico in Piemonte il risultato auspicato era stato raggiunto.
La costituzione del Consorzio Alta Langa era invece già avvenuta venerdì 15 giugno 2001, ore 17:30 presso lo Studio Notarile Cantamessa di Asti. I cinque soci fondatori (Carlo Bussi, Luciano Chiarle, Piero Culasso, Gianpaolo Menotti, Gian Carlo Zunino) avrebbero costituito il primo Consiglio di Amministrazione provvisorio, le cui funzioni sarebbero state solo quelle di ammettere a soci le altre aziende e di convocare la prima Assemblea dei soci, una sorta di Assemblea “costituente”, che avrebbe provveduto a nominare il Presidente e gli altri organi sociali e a dare via libera all’attività dell’organismo di tutela.
Il Consorzio Alta Langa avrebbe preso pieno ritmo con l’inizio del 2002 e, soprattutto, avrebbe ben presto accelerato le sue attività al termine di quell’anno con il riconoscimento della denominazione di origine Alta Langa.
Primo logo del Consorzio Alta Langa (2001)
Mappa areale Alta langa
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